Incassare il Tfr mese per mese da qui a giugno 2018 ha un costo il cui ammontare preciso, però, varia per ogni lavoratore a fronte di diverse variabili. Il saldo negativo, rispetto a quanto avverrebbe continuando ad accumulare il trattamento di fine rapporto, si manifesterà per tutti i lavoratori, anche per quelli che percepiscono retribuzioni basse e che, almeno sulla carta, dovrebbero costituire il nucleo più consistente dei soggetti interessati. È insolito pensare che per una somma indiscutibilmente di spettanza del dipendente si possano prevedere dinamiche politiche tra di loro diversificate. Infatti il trattamento di fine rapporto viene spinto verso la previdenza complementare ma, al verificarsi di talune situazioni, cambia destinazione e va al fondo di tesoreria gestito dall’Inps e le risorse (dei lavoratori) si utilizzano per finalità di tutt’altra natura. Poi, improvvisamente, il Tfr torna al centro dell’attenzione del legislatore che decide di metterlo a disposizione, mensilmente, del lavoratore con l’intento di incrementare i consumi. E qui il paradosso è lampante. Il dipendente, per contare su denaro che è già suo, deve pagare. Il conto che gli viene presentato è monocromatico: si tratta solo di maggiori imposte. E a ben vedere non vi sono soglie retributive che possano sfuggire a questa logica. La legge di stabilità, nel prevedere la quota integrativa di retribuzione (Quir), come è stata definita la mensilizzazione del Tfr, ne sancisce la piena imponibilità fiscale mediante l’applicazione del regime di tassazione ordinario. Un salto a piè pari della disposizione contenuta nell’art.17 del Tuir, a favore di un prelievo fiscale più salato che non sembra avere altri fini se non quello di accrescere le entrate erariali.
(Il Sole 24 Ore del 24 marzo 2015 – Antonino Cannioto e Giuseppe Maccarone pag. 46)
Monza e Brianza – Desio 27/03/2015