Tre possibili alternative, tutte ugualmente percorribili ma con costi e rischi diversi, per chi si appresta a cedere l’area edificabile a suo tempo periziata (con affrancamento di valore) a un valore superiore a quello attualmente di mercato. Alla luce della “riapertura” (ma con aliquota raddoppiata) della facoltà di rideterminare il valore di questi beni al 1° gennaio 2015 (art.1, co. 627, L. n.190/14), giurando la perizia e versando la prima o unica rata di imposta sostitutiva entro il 30 giugno, occorre esaminare con particolare attenzione l’ipotesi di chi ha in passato già sfruttato questa opportunità, attribuendo generalmente (visti gli andamenti di mercato) un costo fiscalmente riconosciuto del bene superiore a quello attualmente proposto dai potenziali acquirenti. Il problema riguarda le aree (edificabili e non) e non le partecipazioni, per il semplice motivo che il valore di un’azienda varia (in più o in meno) tutti i giorni, e infatti il legislatore dell’art.5 della L. 448/01 non ha richiesto (come invece nel successivo art.7) che il valore di perizia costituisca “valore normale minimo di riferimento” in caso di successivo trasferimento. Il contribuente potrebbe procedere con la cessione senza richiamare nel rogito la perizia. Sfruttando la riapertura offerta dalla legge di Stabilità, il contribuente potrebbe (prima della cessione) far asseverare una nuova perizia, con il valore aggiornato del terreno. Questa “perizia al ribasso” (prevista dalle Entrate sin dalla Risoluzione n.111/E/10), tuttavia, a causa del raddoppio dell’imposta sostitutiva previsto dal Legislatore, non è “indolore” come nel passato, potendo portare (come nel caso di specie) a un pagamento aggiuntivo di imposte, una sorta di “costo tranquillità” necessario per evitare il contenzioso. Costo che si aggiunge a quello della nuova stima asseverata. Esiste, in effetti, una terza possibilità, fatta propria dalle Entrate con Circolare n.1/E/13 (paragrafo 4.1). Il contribuente potrebbe evitare la nuova perizia, citando quella precedente in atto. Ciò nonostante, egli potrebbe evitare il contenzioso basato sulla presunta “rinuncia” al precedente affrancamento, laddove convincesse l’acquirente a versare le imposte indirette legate al trasferimento sul valore affrancato (superiore al corrispettivo a cui avviene la cessione), “esaudendo” così la richiesta del legislatore del valore minimo di riferimento. È, tuttavia, evidente, che l’acquirente acconsentirà a questa richiesta del venditore solo se quest’ultimo si accolla l’onere delle maggiori imposte indirette sul trasferimento.
(Il Sole 24 Ore del 26 marzo 2015 – Giorgio Gavelli e Gian Paolo Tosoni pag.45)
Monza e Brianza – Desio 30/03/2015