La legge di stabilità fa ripartire la rivalutazione delle pensioni per tutti, con un meccanismo progressivo che dà qualcosa di più a chi riceve di meno: fino al 41% degli aumenti prodotti dalle nuove regole, però, finirà in realtà nelle casse dello Stato, perché gli incrementi dell’assegno aumentano l’imponibile Irpef e riducono gli importi delle detrazioni. Partiamo dall’inizio: oggi l’indicizzazione, cioè il sistema che prova ad agganciare le pensioni alla dinamica del costo della vita, si applica solo per gli importi fino a tre volte il minimo, e lascia immutati tutti gli altri assegni. Dal 2014 tornerà in campo un meccanismo per fasce, che agli assegni fino al triplo del trattamento minimo continua a garantire la rivalutazione “integrale”, e riserva poi tassi di incremento via via più bassi all’aumentare della pensione. Il meccanismo, appunto, è per fasce, e di conseguenza incide su tutti gli assegni previdenziali, a prescindere dall’importo. Dal 2015, invece, una rivalutazione minima, pari al 50% del tasso totale, è in calendario anche per le fasce di pensione più alta. La teoria degli indici di rivalutazione, che sono agganciati all’indice dei prezzi al consumo (in via provvisoria si utilizza quello dei primi nove mesi dell’anno precedente, che nel 2013 si è attestato allo 0,9 per cento) si scontra con la pratica dei meccanismi fiscali; che, in nome della progressività, aumentano l’Irpef e diminuiscono gli sconti al crescere del reddito.
(Il Sole 24 Ore del 5 novembre 2013 – Fabio Venanzi pag. 25)
Monza e Brianza – Desio 06/11/2013